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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai,
Manuela Léa Orita,
Iuri Lombardi,
Tetiana Anatolivna
Vinnik
Recensioni
In questo numero:
- "L'amore ai tempi del Cavaliere" di
Francesco Vico
- "I Figli del serpente" di G.L.Barone
- "Il confessionale e l'apostolato" di Liliana
Ugolini
- "Venite Venite B-52" di Sandro Veronesi,
recensione di Stefano Gecchele
- "L'Oasi e la neve" di Monica Osnato,
recensione di Simonetta De Bartolo
- "L'amore arreso" di Zhang Ailing, recensione
di Rita Barbieri [pdf]
- "Belfine" di Paolo Ragni
- "L'ultima estate a Famagosta" di Paolo
Ragni, nota di Massimo Acciai
- "Adventurae" di Paolo Ragni
- "Racconti persi e dispersi" di Paolo Ragni
Incontri nel giardino
autunnale
Articoli
Letteratura per la Storia
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A bassa voce
Dario De Giacomo
Una preghiera
per Margherita, di cui non conosco il volto ma
l'agonia.
A bassa voce. A luci ferme. Come deve essere.
Guardai la mammella della ragazza che si disegnava
sotto il camicione.
Aveva capelli rossi lunghissimi, brucianti, e la
pelle del colore del marmo si disfaceva a quel
calore.
Ebbi un guizzo molle al basso ventre e provai
l'ebbrezza di abitare il suo desiderio là, dentro la
luce squadrata.
Me ne tenne lontano il ricordo del suo imminente
disfacimento, come accade ai cani terrorizzati dalle
percosse, quando una rapida carezza li innervosisce.
Lei fissava la mia figura verticale appoggiata al
muro, e una stanchezza, inaudita per me, la
abbatteva orizzontalmente nel letto.
I miei sensi, assuefatti alla luce del sole,
provocavano ribrezzo in me, disgusto, comunicando
alla pelle esili movimenti involontari: fremevano
per sentire la pressione delle dita ovunque.
Il tempo esile, fuori, spostava grandi masse
d'ombra. Illuminando i marciapiedi, a schegge,
inquadrava rettangoli di mattonelle, scaldava visi.
Poi si arrestava in cima alle scale, davanti a una
porta a vetri dal doppio battente, opachi, che
riluceva di odori sulfurei e disinfettante.
Nella stanza entrò un'infermiera che nascondeva le
mani, abili a pungere la pelle arida con ordigni
salutari, dietro la divisa azzurra e un largo
sorriso.
Quando si allontanò, vidi avvicinarsi alla madre e
alla ragazza un'altra donna, con un vocione biondo e
sano, che chiedeva di pregare insieme.
Per lei rispose la madre, come faceva da tempo: Sì.
Evocarono insieme quel dio malato che si compiaceva
di tutte le parole della malattia; come i medici,
che parlavano solo delle strategie di fil di ferro
per combatterla.
È terribile il conforto incosciente degli ospiti,
ignari dell'accaduto.
La ragazza guardava dentro i miei occhi. Il suo
sangue marcio mi sfidava a viverla, mentre ripeteva
a bassa voce le parole della preghiera.
Le voci, roca del conforto, muta quella del dolore,
si confondono senza incontrarsi.
L'esilio del corridoio, circondato di stanze
quadrate illuminate dal lampade alogene, cova urla
furiose, bestemmie che esploderebbero in piena.
Ma quel luogo misteriosamente resta silenzioso. E
illuminato. Come un dio malato che non sopporta lo
strepito.
Mi faceva male lo sforzo di tenere lo sguardo su di
lei.
Quando lo rialzai, la preghiera continuava, ma la
ragazza si era stesa su un fianco.
Era scomparsa, tirandosi sulla testa il lenzuolo
bianco.
Mi girai verso la finestra, l'unica sulla strada.
L'esile tempo. Ora. Aveva spostato laggiù, sulla
ferrovia, le sue grandi masse d'ombra.
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