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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai,
Manuela Léa Orita,
Iuri Lombardi,
Tetiana Anatolivna
Vinnik
Recensioni
In questo numero:
- "L'amore ai tempi del Cavaliere" di
Francesco Vico
- "I Figli del serpente" di G.L.Barone
- "Il confessionale e l'apostolato" di Liliana
Ugolini
- "Venite Venite B-52" di Sandro Veronesi,
recensione di Stefano Gecchele
- "L'Oasi e la neve" di Monica Osnato,
recensione di Simonetta De Bartolo
- "L'amore arreso" di Zhang Ailing, recensione
di Rita Barbieri [pdf]
- "Belfine" di Paolo Ragni
- "L'ultima estate a Famagosta" di Paolo
Ragni, nota di Massimo Acciai
- "Adventurae" di Paolo Ragni
- "Racconti persi e dispersi" di Paolo Ragni
Incontri nel giardino
autunnale
Articoli
Letteratura per la Storia
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Ad un certo punto mi accorsi che
stavo sognando in turco e vagavo per le vie di
Istanbul. Camminavo frettolosamente in un ampio
bazar e mi ero fermato dinanzi a una bottega per
esaminare alcune spezie. Ce ne erano alcune che non
avevo mai visto. La bottega era particolare, oltre
ai vari colori e tonalità del marrone, del rosso,
del verde delle varie spezie trite o polverizzate,
essiccate o fresche, i vari aromi si mescolavano tra
loro. Ad un certo punto si era avvicinato il
venditore per chiedermi se volessi della paprika
indiana o del cumino. Gli avevo risposto che non
volevo nessuno dei due e avevo ripreso a camminare.
Indossavo abiti turchi e mi muovevo nelle vie di
quella città. La cosa curiosa è che riuscivo a
leggere i quotidiani turchi e a capire e la gente
che mi parlava, così come era successo con il
venditore delle spezie. Io ero turco. Ad un certo
punto fui in moschea dove incontrai alcune persone
della mia età che mi parlarono in maniera simpatica.
Erano i miei amici turchi, ovviamente.
Quando mi svegliai la prima cosa che mi venne in
mente fu che quel sogno non fosse il mio e che
appartenesse a qualcun altro. Mi resi conto che non
ero a Istanbul. Dalla mia finestra potevo vedere uno
scorcio del campanile di Giotto a Firenze. Non ero
in Turchia, ne ero turco. Cominciai a pensare in
maniera ossessiva che quel sogno non era il mio. Non
mi è mai piaciuto avere delle cose che non mi
appartengono. Lo considero un insulto alle mie
proprietà e un furto nei confronti di qualcuno.
Ricordo ancora benissimo quando da adolescente io e
Mario avevamo comprato insieme un paio di scarpe
sportive ciascuno. Amavamo lo stesso modello ma
entrambi eravamo rimasti molto indecisi fino alla
fine sulla scelta del colore. Alla fine io le avevo
comprate bianche con le striature rosse bordeaux
mentre lui aveva optato per quelle blu con le linee
gialle. Tuttavia a me piacevano anche quelle di
Mario e a lui piacevano anche le mie per cui un
giorno avevamo deciso di fare uno scambio di scarpe.
Per una sola giornata. La cosa era divertente e
oltretutto rispondeva al nostro bizzarro desiderio
adolescenziale. Ricordo ancora oggi che la mamma
aveva subito notato che indossavo delle scarpe non
mie e mi aveva chiesto di chi fossero. Dal tono di
voce della mamma ero già consapevole di aver fatto
qualcosa che non andava e, mestamente, gli dissi che
erano di Mario e che l'avevamo scambiate per un solo
giorno. Lei cominciò ad irritarsi in una maniera
tale che per me fu difficile da comprendere.
Soprattutto perché io e Mario eravamo amici fraterni
e anche le nostre famiglie si conoscevano da sempre.
La mamma arrabbiata mi disse "queste cose non si
fanno, prima di tutto perché non ha senso poi perché
tu hai il tuo paio di scarpe". Mi disse che a lei
piacevano praticamente tutti i tipi di scarpe
femminili che le donne portavano ma non per questo
aveva stabilito con loro che un giorno avrebbe
indossato le scarpe blu a punta della vicina, un
altro i stivali di pelle della nostra maestra, un
altro le babbucce pelose dell'anziana dell'edicola e
così via. La spiegazione della mamma mi fece
abbastanza ridere, tuttavia capii quale fosse il
motivo del suo rimbrotto , ossia che ognuno deve
tenere le proprie cose. Le cose degli altri sono
degli altri. Proprio per questo ero consapevole che
il sogno dell'uomo turco non mi apparteneva.
Tuttavia trovavo difficoltà nel riconsegnare quel
sogno a qualcuno. Consegnare indietro le scarpe a
Mario era stato semplice ma consegnare un sogno a
qualcuno è qualcosa di più difficile. Per questo
cominciai a girare per la città cercando di vedere
se avrei individuato il turco che aveva sognato
quelle cose. Non ci riuscii sebbene mi impegnai
veramente tanto. Alla fine, pensando fosse quella la
chiave di volta, andai in prossimità della moschea
della città dove si radunavano sempre molti islamici
per pregare. In prossimità della moschea c'erano
numerosi uomini. Alcuni parlavano tra di loro, altri
stavano entrando in moschea. Notai che uno di essi
teneva in mano una busta della spesa. Pensai che
forse era il turco che cercavo. Forse si era appena
recato in qualche bazar a comprare delle spezie.
Sarei stato sicuro che era lui se non avessi visto
altri turchi con altrettanti sacchetti di plastica
in mano.
Abbattuto dalle mie ricerche, mi ricordai delle
parole di mia madre, "bisogna sempre consegnare
indietro ogni cosa che abbiamo e che non ci
appartiene". Impossibilitato a riconsegnare quel
sogno al suo legittimo proprietario, decisi di
andare al commissariato. Dissi ad un agente di aver
trovato qualcosa di non mio e di volerlo
riconsegnare. Mi disse che andava bene e mi chiese
di consegnargli l'oggetto. Gli dissi che non ce
l'avevo. Aggiunsi che dovevo consegnare un sogno di
un signore di Istanbul. L'agente prese le mie
generalità e mi schedò.
Jesi, 12 Marzo 2010
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