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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai,
Manuela Léa Orita,
Iuri Lombardi,
Tetiana Anatolivna
Vinnik
Recensioni
In questo numero:
- "L'amore ai tempi del Cavaliere" di
Francesco Vico
- "I Figli del serpente" di G.L.Barone
- "Il confessionale e l'apostolato" di Liliana
Ugolini
- "Venite Venite B-52" di Sandro Veronesi,
recensione di Stefano Gecchele
- "L'Oasi e la neve" di Monica Osnato,
recensione di Simonetta De Bartolo
- "L'amore arreso" di Zhang Ailing, recensione
di Rita Barbieri [pdf]
- "Belfine" di Paolo Ragni
- "L'ultima estate a Famagosta" di Paolo
Ragni, nota di Massimo Acciai
- "Adventurae" di Paolo Ragni
- "Racconti persi e dispersi" di Paolo Ragni
Incontri nel giardino
autunnale
Articoli
Letteratura per la Storia
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Nell'ora dolce della ricreazione
Nell'ora dolce della ricreazione
giornaliera tutto si ferma;
il sole pare gelarsi tra le maglie
bianche che a branchi si infrangono.
Ci sarebbe molto da discutere
ma la strada, così dolce com'è,
non è abbastanza lunga
per completare una storia.
Qualche latrato, qualche gemito
risveglia il di dentro con poco;
stanchi uomini si avvicendano,
nella fatica consueta che pare
non abbandonarli;
pompe di cemento piovono sulle lastre
di sepoltura melma nei piloni
crocifissi sotto il sole che muore.
Qualcuno assorto depone ogni impeto,
ogni moto dell'animo in un anonimo
corridoio del supermarket e subito
la fine appare l'inizio, minaccia
il viaggio dell'avventura civile
in un labirinto di prati di erba sporca
di sangue e di offese, che odora
di sonno che si annida, si attorciglia
ai canali d'acqua pudrita.
Louise Ferdinand Céline
Iuri Lombardi
Non conosco orti da coltivare,
ma dentro di me nutro solo giardini,
striminziti di brevi notti,
d'ortiche e di azalee;
un disimpegno per misurarmi
il tempo, i giorni in cui
mi appare impossibile nella sua bellezza;
ora ferita in una rivolta,
in una pallizzata, arresa alla smanie
di una messa senza precedenti,
ora istrada stordito dall'odore
crudele dei suoi passi, così feroce
nella lotta per accapararsi il pane.
E ritrovarsi poi qui allora,
nello spazio di un sabato,
accecati dalla luce di questa
speranza sarebbe come spararsi
un colpo allo stomaco.
Un colpo deciso, ne basta uno,
che il viaggio al termine
della notte finisce rammendato
come uno sputo a sventolar bandiera
in un mattino di una fazione sconosciuta,
basta che sia una, che mi dia un credo,
un germoglio di vita che forse ho
reciso sul nascere senza volere.
Ma ho un corpo destinato a putrire,
un giorno che finisce in buio,
qualcuno silenzioso al mio fianco
come fosse una spina negli occhi.
Adesso che so di lenzuola sgualcite,
di vecchi bistrot dalle insegne a neon,
indifeso come un ragazzo in una storia
di sesso; nell'accenno sottile di una
corrispondenza inconfondibile.
E il vento mio Dio, d'io infelice,
svela i corpi come fossero menzogne
nella stanza gelida delle blatte
arreso al contagio della loro malattia
alla ferita di luce di questa finestra
affacciata su Montematre dopo
dopo un giorno di pioggia.
Una morte a credito che come pegno
te l'ho lasciata in cambio di una pistola
di tutte le mie fantasie, di ogni mia
nuova narrazione per vivere ancora
una vigilia di festa, un solo mattino
da uomo sano, giusto, mite.
Ma come posso guarire dalla povertà?
Come si può? Sarà possibile?
Guarire da questo morbo che perseguita,
che mi si insinua nel letto mentre dormo,
in queste notti al cui termine del viaggio
non ci sono salmi, o bibbie nuove
per ricredersi, da comprare a poco prezzo.
Edificheranno padiglioni e luci nuove
nei mattini di marzo,
bibbie e altre storie nelle sere d'aprile
così dolci che asilo nel pensiero trovo
in attesa del verdetto e poi sarà la fine....
giovani donne si concederanno
in una fila interminabile gonfie
di ventri offesi e ancora una volta
pronte a disfarsi d'amore;
e ti convincerai ad allungarci
il tempo, a concederci silenzi
e spiragli di un'altra stagione,
la convinzione percettibile del segno
indelebile dell'età,
il frusio di un isolato che si fa
dalla ramazza di un netturbino.
Perchè un uomo è figlio del proprio
del proprio tempo, di un'unica
donna, inchiodato eternamente,
sino a quando già putrido di povertà
non cosegnerà il proprio corpo,
della stessa identica stagione.
E ti convincerai mio d'io
di essere sempre uguale identico
a te stesso, inconfondibile
somigliante al suo volto che si perde
per Mentematre nell'ora in cui
i lattai svegli consegnano il miele....
mi svelerai il segreto delle stelle,
il cielo che si fa argento al principio
del giorno successivo al buio
del precedente... e tutto sarà un pugno
di vanità di questo stupido vecchio
che divampa in un fuoco di trame
di storie sino a convertirle
in parole secche, sconclusionate,
nella suggestione del narrare,
ma così vere che il resto
è solo e resterà un dettaglio!
Dolce Dio che mi aspetti,
che insonne attendi ogni uomo,
un abele qualunque vittima
di un massacro lasciami
crocifisso alle mie bagatere,
ai ragazzi che al mattino passano
nel vendermi acqua sapendo
di mentire alle loro bottiglie,
ai loro volti così infelici,
così senza accenno di niente,
all'ombra di un offesa,
di un timido e incerto lampione
al viaggio che finirà alle prime
luci del giorno nuovo.
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