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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai,
Manuela Léa Orita,
Iuri Lombardi,
Tetiana Anatolivna
Vinnik
Recensioni
In questo numero:
- "L'amore ai tempi del Cavaliere" di
Francesco Vico
- "I Figli del serpente" di G.L.Barone
- "Il confessionale e l'apostolato" di Liliana
Ugolini
- "Venite Venite B-52" di Sandro Veronesi,
recensione di Stefano Gecchele
- "L'Oasi e la neve" di Monica Osnato,
recensione di Simonetta De Bartolo
- "L'amore arreso" di Zhang Ailing, recensione
di Rita Barbieri [pdf]
- "Belfine" di Paolo Ragni
- "L'ultima estate a Famagosta" di Paolo
Ragni, nota di Massimo Acciai
- "Adventurae" di Paolo Ragni
- "Racconti persi e dispersi" di Paolo Ragni
Incontri nel giardino
autunnale
Articoli
Letteratura per la Storia
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Memorie di un cavaliere (seconda
parte)
Nicolo Maccapan
Il risveglio
Il mattino seguente Nicolò si alzò ad orario
inoltrato.
Scese al piano terra della taverna, molto più simile
ad un abitazione spoglia.
Dopo un abbondante e scadente pasto, il principe,
decise di seguire il consiglio di suo padre e di
lanciarsi alla ricerca di un puro di cuore.
Chi meglio del locandiere poteva essere un buon
partito per il possesso di un cuore puro?
Durante il pasto Nicolò terzo lo chiamò a se e con
aria informale iniziò a porgli delle domande…
"Sa caro oste, non è che io sia venuto molte volte
in questi luoghi è che, come le canzoni penso stiano
già cantando, sono in tedio per il mio amore".
"Haaa, le donne, se mi permette mio principe… le
donne sono il più grande turbamento del mondo, più
delle guerre, più dell'avventura. Pensate signore di
Zù, i vecchi saggi dicono sempre: sconfiggere un
dragone può essere impensabile per un solo uomo, ma
c'è una minima possibilità aiutati dall'astuzia e
dalla fortuna, soprattutto se si ha una buona lama.
Nella conquista della donna invece, non ci sono ne
armi ne fortuna, va conquistata solo con se stessi.
L'ingegno può essere usato ma se lo si usa per
possederla, nel suo cuore non i sarà mai il vero
amore".
"Hum, cosa intendete dire con questo buon uomo? Se
l'inganno rimane nascosto nella foresta questa non
può essere ugualmente rigogliosa?"
"Nicolò terzo di Zù, lei mi affida delle domande
difficili ma, nel momento in cui una donna si
innamora, non è per ideale, ne per casata, ne per
virtù, è semplicemente perché il suo sangue, nel
veder il suo amato, ribolle e fermenta nel pensiero
di lui, se lo si fa forzatamente, come io faccio con
il mio vino, per avere sempre le botti piene,
indubbiamente sarà cattivo al gusto".
"Haaa, mio caro albergatore, ecco il perché di
queste bevande, se lei sapesse di vini quanto di
donne, potrebbe servirmi a castello!".
"Mio principe, lei così mi elogia troppo".
"Vede mio caro, lei indubbiamente conosce tutto
della mia casata, delle mie origini, del mio passato
e del mio futuro, mentre io, che di lei non so
niente, non conosco il nome dei suoi antenati, non
conosco nemmeno il mestiere che gestisce con tanto
amore. Ordunque le chiedo, mio protetto, perché lei
mi porta rispetto? Cos'è che non la porta ad essere
il vero sovrano di se stesso?".
"Mi dispiace mio principe, di questo non posso
essere libero di parlare con lei come un fratello.
Potrei pentirmi della mia audacia e di mettere il
mio sangue alla pari del suo".
"Non tema caro oste, mi dica, in fondo sono a casa
sua, sono suo ospite e servo, mi dica, parli pure
liberamente".
"Sa, lei è il principe che noi preferiamo in quanto
ci tratta tutti alla pari, ci tratta come se anche
noi scrivessimo poesie e ricevessimo consigli reali
, ma lei sta sbagliando principe, noi siamo suoi
servi.
"Cosa intendete dire con questo? La libertà e la
scomparsa della distinzione netta che c'è tra noi la
infastidisce? Non possedete ne marmo ne armi, siete
indubbiamente più rozzi e meno sensibili della più
insignificante casa nobile e mi state dicendo che
non volete essere trattati a miei pari, anche se
realmente non lo siete?"
La voce del cavaliere andava via via salendo quasi
iraconda, fece intorpidire l'oste, preoccupato, il
quale era già consapevole che le sue parole
avrebbero adirato il suo interlocutore. Il popolano
non osava guardalo negli occhi… quel coraggio che
veniva a mancargli in quel momento si ritrovò
nell'odio di un'altra persona, seduta ad un tavolo
vicino. Una persona di corporatura esile, elegante,
dalla barba curata ed un vestito costato almeno
cinque ori. Quest'uomo si alzò di colpo in piedi.
" Or ora, se lei ci considera suoi pari, qual è il
motivo del suo tonante vociferare? Questo sapete
fare voi nobili, intenzioni, avete solamente
intenzioni ma non le portate mai a termine. Dite che
siamo vostri pari ma al primo giudizio vi fermate,
capite che la vostra eleganza non si può mescolare
alla nostra popolarità. Voi, voi nobili, voi,
persone dal sangue reale non riuscireste nemmeno a
far smuovere un aratro, la fortuna che possedete è
solamente quella di poter scrivere delle pergamene
su come fare, impartendoci ordini, distaccandoci da
voi. Lei finge di essere un originale cavaliere ma,
in fondo, il suo orgoglio oscura il suo cuore e lo
rende padrone di queste terre".
"Chi osa proferire tali parole senza essere
interpellato?" Rispose con forza il nobile.
Nicolò terzo di Zù si alzò in piedi, scorrendo la
fodera della spada con la mano, arrivando
all'impugnatura.
L'ardito uomo e il principe si stavano fissando con
aria di sfida, la forza della povertà di quell'uomo
stava avendo la meglio, facendo svanire l'istinto
del pericolo che lo stava per investire.
Il locandiere assisteva attonito alla scena,
l'armatura del principe non era più cosi maestosa e
luccicante, se si osservava bene, era il color
carbone e rosso del suo secondo ospite che
risplendeva nella sala da pranzo.
"Signori state calmi" proferì con voce insicura
l'albergatore.
"Stia zitto lei , o il crescere della mia ira non
avrà fine, chiaritomi con quest'indesiderato uomo".
Il principe fremeva nel difendersi con tanta audacia
dall'accusa dello sconosciuto.
"Lei con quella brillante armatura, deve forse
combattere oggi? Deve partire per qualche avventura?
Deve mostrare la sua nobiltà a qualche cena di gala?
No! Semplicemente nel suo inconscio, mentre dice che
noi siamo uguali, mostra indirettamente la sua
superiorità, ci ha pensato a questo? Ci ha pensato?
"Io sono un suo governante e come tale, faccio
sfoggio del mio incarico, alla nascita dei tempi è
stata la mia famiglia a guadagnarsi il consiglio del
popolo e a farvi prosperare nel territorio dove
state vivendo. Cosa crede che sia facie fare il
nobile? Io non lotto per essere un vostro simile, io
lotto per trattarvi a mio pari, anche se la mia
storia mi diversifica io vi rispetto, ma le sue
parole mi stanno oltraggiando.
"Lei, non rispetta proprio nessuno, dovremmo tutti
lodare e gioire del mondo, non è giusto che chi
governa possa avere più degli altri solo perché
all'alba dei tempi è stato disegnato, lei è come noi
e sa cosa glie lo porrà davanti agli occhi?"
Nicolò terzo si diresse a piccoli passi verso l'uomo
misterioso che non dubitava, nemmeno per un istante.
"Lo sa? Cosa la porterà a rendersi conto di essere
come noi?"
"No cosa?"
"L'amore, che da quello che si canta sta turbando
anche i cuori più nobili ultimamente!"
L'impudenza del popolano al cospetto del cavaliere
fece sguainare la spada del principe, portatasi alla
gola dell'uomo che ancora, urlava senza esitazione.
"Lei usa la forza bruta, l'arte della spada, lei non
ama quella spada, ma anche minacciandomi, per le mie
accuse fondate, non farà altro che affermare quello
che dico! L'amore scorre nelle vene del ladro, del
contadino, del guerriero, e del re allo stesso modo!
E se lei pensa che l'amore sia fermo all'idea della
donna si sta sbagliando, l'amore è quell'arte che
non possiede natali, occorre studiare le note per
essere artista ed incontrare l'amore della musica,
occorre essere maestro di penna per incontrare
l'amore della scrittura, ma il talento e la cultura
nell'amare vengono meno! Lei può chiamarmi ribelle,
ma io sono innamorato della possibilità di soffrire
e di stare male in questo mondo da lei governato, la
ringrazio! Lei mi da la possibilità d'amare, amare
la ribellione coltivata nell'odio di voi, dalla
diversità e dalla ricerca di quei desideri che non
riuscirò mai a raggiungere. L'amore deriva dalla
sofferenza che io provo nel non poter essere come
voi. La mia crisi deriva da questo, servirla ed
invidiarla, fino all'odio, fino alla ribellione,
persino difronte alla spada del padrone. La
ringrazio ancora, per avermi dato la possibilità di
essere suo schiavo e allo stesso tempo di amare,
amare l'odio per lei e la sua ipocrisia. Ordunque le
dico, il mio cuore e reso puro dalla mia mai
realizzata voglia di ribellione".
A queste parole, il cavaliere, riportò a se la
triste lama che non ebbe il coraggio di porre fine a
tali parole. Dalla cintura il principe prese una
sacca contenente delle monete, la lanciò con
sconcertato disprezzo sul tavolo, ancora caldo del
pasto non terminato e se ne andò.
L'oste agitato interpellò subito il suo cliente.
"Sei pazzo? Come trovi la forza di proferire tali
parole al nostro principe"
"Stai zitto stupido, questa è stata la tua più
grande vittoria, non rinunciare all'unico momento in
cui sei stato libero.
Diari del Giorgione
Ancora allora
Giovane musa
Mi colpì il tuo canto
E quella voce candida e schiusa
Operò come un santo
Mentre il mondo assorbe problemi
Ma non posso pensare
Posso solo capire
La più triste cosa che c'è
Nel vivere senza di te.
Mentre Nicolò viaggiava senza meta in sella al suo
maestoso destriero, la poesia del vecchio re, quel
re che fu di Cristina, morto per mare, difendendo
quello che amava, il suo regno, sua moglie,
continuava a riecheggiare nella sua mente.
Metteva a confronto tali parole, con quelle del suo
ultimo conosciuto, metteva in campo nella sua mente
le parole dell'uomo. Possedevano una foga e una
capacità quasi sovrannaturale. Quell'individuo
gemeva nel piacere della ribellione e lo portava ad
avere un cuore puro.
Ma perché di quella poesia, perché pensava ad essa?
L'ammirazione che il nostro cavaliere portava per il
vecchio re era illimitata ma, si accorse che lui,
partito e morto per quello che amava, chiariva bene
in quei versi cosa volesse
"Mentre il mondo assorbe problemi, ma non posso
pensare".
Lui soffriva per la mancanza della sua amata, era
partito per l'incarico che aveva ma non lo voleva
fare. Non pensava ai mali del regno, o meglio, non
voleva farlo, perché in quel momento per lui
esisteva solo Cristina e soffriva nel non stare a
casa con lei. Il suo cuore era puro, reso tale dalla
sofferenza.
Il trisavolo di Roberta, coltivò l'amore della
regina tra la sofferenza nel vedersi da lei lodato
ma di non poter averla. Fu il suo cuore puro a
permettergli di dichiarare il suo amore, liberandosi
dalle catene che lo legavano.
Nicolò soffriva, per il suo amore mancato, per non
poter sentirsi dire ti amo, ma il suo cuore non era
puro, nel suo caso la sofferenza non gli permetteva
di amare.
D'un tratto a gran velocità decise di tornare a
palazzo, avendo sciupato il cosi prezioso consiglio
del padre. Identificò la sua priorità, prepararsi al
meglio per l'incontro che di li a poco avrebbe avuto
con il grande re.
I Preparativi
Ancora due soli mancavano alla grande partenza di
Alessandro primo duca di Zù e suo figlio verso la
casa reale.
I preparativi erano già iniziati. Tre splendide
carrozze, bardate ed abbellite con drappi
raffiguranti la casata di Zù, erano già posizionate
nel cortile dell'ampio castello, pronte alla
partenza. I preparativi si erano resi ormai
frenetici e nello stesso tempo, un uomo, alla torre
di vedetta urlava: "Uomo in armatura! Uomo in
armatura a cavallo e solo si sta dirigendo verso il
cancello". "E' il principe Nicolò terzo, abbassate
il ponte".
Mentre Nicolò trottava a velocità moderata verso il
ponte levatoio, questo si abbassò, permettendo il
suo passaggio veloce all'interno delle grandi mura,
fino ala piazzola, investita in fretta e furia da
decine di persone che cercavano di svolgere al
meglio che potevano gli arditi compiti a loro
impartiti per i preparativi.
Il padre di Nicolò, Alessandro, informato del suo
arrivo, si affiancò alla finestra del palazzo ducale
che dava sulla piazza, nella quale si era appena
soffermato stanco, il nostro cavaliere.
Il duca fece segno a suo figlio di salire, scuoteva
il braccio chiamandolo a se con tale foga che
sembrava si trattasse di un emergenza.
Dirigendosi nelle stanze d suo padre Nicolò,
incontrò la sua fidata serva. Elena la quale lo
informava che Roberta aveva risposto alla lettera,
raccomandando di fargliela avere il più presto
possibile.
Nicolò, salendo le fredde scale del palazzo, rimandò
a dopo le sue questioni d'amore. Ogni risposta che
Roberta poteva dare al suo messaggio, non poteva
risultare più importante del consiglio reale e per
garantirsi questo, il nostro cavaliere doveva
assecondare in tutto e per tutto suo padre che
proprio oggi aveva così voglia di incontrarlo.
Terminate le scale arrivò nel grande corridoio che
portava alla gran camera ducale, dove Alessandro
primo dormiva.
Il corridoio era in salita, formato da diversi
gradini di granito bianco, intonati con le pareti in
marmo scuro levigato, trafitte con simmetria sia a
destra che a sinistra da torce dall'impugnatura in
avorio pregiato.
Una lieve salita distaccava il principe da suo
padre. Camminando, l'aria mossa dallo sventolare del
mantello soffiava sulle fiaccole accese, creando un
ululato nel silenzio che rese vigile suo padre.
Alessandro sentendo i forti passi dell'armatura apri
di scatto la porta.
" Su su figliolo sbrigati, devo mostrati una cosa".
Chissà cosa dovrà farmi vedere di cosi suggestivo e
mitico, tanto da smuovere la sua carne agitandola.
Il suo comportamento era insolito, eccitato, aveva
perso la grazia del duca da lui sempre posseduta.
"Guarda figlio, guarda dentro quel baule cosa è
stato ritrovato!"
Cosa poteva mai essere? Un tesoro? Un elisir? O
forse una pergamena contenente un incantesimo.
Il baule all'aspetto non pareva un granché, sembrava
di fattura rude, ricoperto di terra e polvere.
"Quel maledetto l'aveva nascosta, ma finalmente dopo
anni di ricerca l'anno trovata. Più di diecimila ori
sono stati spesi per venire a capo del suo
nascondiglio ma l'abbiamo trovata e brilla ancora
come brillava due secoli fa."
"Di che si tratta padre? É forse una gemma che era
scomparsa dalla nostra collezione ducale o forse è
un qualsivoglia sortilegio mitico?
"Molto meglio figlio! Molto meglio!"
le mani temperate del duca stringevano delle bande
di duro ferro temperato, con le quali il baule era
stato chiuso, non esistevano serrature o modi per
aprirlo senza forzarlo, era volutamente stato creato
per imprigionare qualcosa al suo interno,
seppellirlo e non farlo più riemergere.
Alessandro primo diede dei lievi colpi alla parte
superiore del forziere, ripulendolo dal terriccio,
rendendolo lucido. Al togliersi della mano del
nobile iniziò a scorgersi un incisione
non aprirete questo baule per proteggere il regno
brillare non serve ne a cacciare ne a governare
luccicare serve solo ad attirare l'attenzione
del nemico più feroce
sacrificando se stessi per se stessi
"Guarda figliolo guarda".
Figlio? Per tutto questo tempo, per tutta la mia
vita non mi aveva mai chiamato così, oggi le cose
stavano cambiando. Questo contenuto doveva essere
realmente mitico per sciogliere il freddo ghiaccio
dell'animo di mio padre.
Guardavo l'incisione, la rilessi più volte, poteva
avere dei significati nascosti ma non riuscivo a
coglierli.
"Belle parole padre ma... sai cosa contiene?"
"Tocca, tocca l'incisione Nicolò"
lo assecondai e con la mano sfiorai delicatamente la
rientranza dell'incisione sul duro metallo. D'un
tratto nacque un bagliore, un bagliore accecante,
verde, verde smeraldo che mi colpiva dal viso a metà
busto. Mi spostai di scatto, impaurito.
Vidi che si trattava di una traccia di luce, un
emissione lineare che si spingeva da ogni lettera
fino al soffitto della sala, espandendo le parole
sin al lampadario, possessore di nove fuochi.
"Padre è meraviglioso! È un incantesimo! Si tratta
di alta magia?"
"La cosa meravigliosa è quello che c'è dentro
Nicolò, non ti rovinerò la sorpresa... aspettiamo il
fabbro, dovrebbe essere qui a momenti."
Nel frattempo Il nostro principe si accomodò su una
poltrona di tessuto morbido, ponendosi alle spalle
di suo padre, lanciandosi alla lettura della lettera
precedentemente consegnatagli da Elena.
Portava il sigillo della casata di Howl, non era
ancora stata aperta da nessuno.
Con grande agitazione ruppe la cera che bloccava la
lingua della pergamena e srotolandola iniziò a
leggere.
Caro Nicolò terzo di Zù
Mi dispiace, mi sento rammaricata per gli
avvenimenti del nostro ultimo incontro.
Lo so, l'omissione della mia mancanza... ne sono
sicura, starà provando il tuo spirito ancor più
della tua armatura, insoddisfatta vedendo il suo
padrone andarsene con il cuore spezzato. Non devi
sentirti menomato per le mie parole mancate, non
devi reprimere il tuo odio e trattarmi come tua pari
se non lo desideri.
Io vorrei renderti felice, il nostro matrimonio è
alle porte, ma come i tuoi antenati proteggono i
loro meriti fino a te, generando un vero cavaliere,
sia nella bellezza che nella maestosità del verbo,
la mia storia in questo momento mi appartiene più
che mai e come dalla tua deriva l'amore che mi è
destinato, la mia si presenta come flagello per non
poter esprimerti i miei sentimenti.
Ti ringrazio per i tuoi ultimi scritti, sono stati
toccanti,la tua volontà e determinazione sono
lodevoli ed incommensurabili. Quello che ti chiedo
veramente caro cavaliere argenteo, è di guardare nel
tuo cuore e capire se veramente la mia persona vale
tutto il sacrificio che stai per compiere. Ma non
pensare a me, a te, al nostro passato o a quello che
saremo quando lo stendardo delle nostre case sarà
unito. Non cadere nell'egoismo dell'amore della
quale io sono serva contro la mia volontà.
Pensa sempre due volte prima di agire e se trascorsa
un alba la tua mente sarà ancora voluttuosa di
andare avanti, prosegui deciso il tuo cammino.
Ci vediamo presto e ricordati che...
Stromp! Stromp! Stromp!
Ero talmente preso dalla lettura che non mi ero
accorto dell'arrivo del fabbro, il quale, con un
piccolo martello ed un blocco esagonale di dura
pietra, aveva già forzato tre delle cinque sbarre
del forziere. Mio padre iniziò tremolante a
parlare...
"Si si, faccia con calma fabbro ma non lo rovini.
Nicolò, ascoltami bene. Esattamente qui,
all'interno, staziona un oggetto appartenuto al
nostro lontano parente Fabio ottavo. Fu il primo e
unico generale reale della nostra famiglia, nonché
il più grande guerriero in cui scorse il sangue
della nostra casata."
Ero stupito di riscoprire così, di colpo, un altro
frammento di storia che era mio.
D'un tratto il forziere si aprì. Dovetti chiudere
gli occhi, il bagliore era enorme. Fu come se il
sole per un istante fosse a pochi metri da me,
racchiuso in quel baule che fece persino girare di
scatto il duca, posizionandomi le mani difronte agli
occhi.
Il fabbro, a pochi centimetri da quella luminescenza
incantata, divina, cadde a terra svenuto.
Fu un duro colpo per i miei occhi che lacrimavano
per il dolore.
Chiamammo subito il medico di palazzo che aiutato da
una serva di passaggio, trascinò via il manovale.
"Vedi Nicolò, questo è il dono che l'indomani farò
al nostro amato re: l'armatura del coraggio e della
luminescenza."
Ero stupito, impaurito, innamorato. Amai di colpo
quell'armatura. Mio padre, estraendola me la mostrò.
Era una corazza di piastre magnifica, di color
verde, di una manifattura unica.
Attorno ad essa nasceva e moriva, nasceva e moriva
un aura chiara, con intensità sempre differente.
Le piastre di questa armatura erano formate dalle
scaglie di qualche creatura mitica, erano vere e
fuse nella forgiatura, al servizio di quell'oggetto
mitico.
All'interno del baule si trovò anche una spada
corta, il manico era composto dall'unione nel
metallo di denti moto aguzzi, sicuramente
provenienti dalla stessa creatura dalla quale erano
state prese anche le scaglie. La lama era
affilatissima, era strano considerando il tempo che
era passato senza che fosse stata curata. Sia nella
spada che nella corazza c'era incisa la stessa frase
che solcava il forziere.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo da essa. Era
magnifica, stupenda. Il duca mi spiegò che l'animale
sacrificato per la sua forgiatura era un idra.
È rinomato che le idre siano creature molto feroci,
possiedono un intelligenza fuori dal comune, di
dimensioni colossali sono molto difficili da
abbattere.
Questi veri e propri mostri possiedono tre teste dal
lungo collo, unite ad un corpo di drago senza ali.
La testa che fu mozzata e dalle quali l'armatura
traeva le sue scaglie era la centrale, quella verde.
Questo rendeva magica l'armatura e venne denominata
del coraggio e della luccicanza allo scoprire del
suo potere.
Veniva chiamata cosi per il suo costante luccicare e
per la leggenda che chi l'avesse indossata, avrebbe
ricevuto subito un coraggio infinito, degno della
più pericolosa idra.
"Non rimanere sconvolto alla sua bellezza figlio, la
magia può essere affascinante ma è anche molto
pericolosa, questo sarà il nostro dono per il re,
vai ora e preparati per il viaggio."
Mio padre tornò ad essere angusto e serioso come
sempre.
L'intermittenza di quel chiarore illuminava ancora i
miei occhi abbagliati per la gioia che si trovasse
davanti a me, a pochi istanti che andavano via via
crescendo.
Non avevo il coraggio di toccarla, posi la mano
nella sua direzione ma tutto il desiderio che avevo,
la volontà di possedere una cosa così bella, veniva
a mancarmi, non trovando dentro di me un vero motivo
per il quale la dovessi avere.
Obbedii al comando di mio padre, uscito da quella
stanza ebbi come un vuoto.
Iniziai a ritirarmi a fatica nelle mie camere ma...
quell'armatura cosi bella e maestosa, così colorata,
forte della speranza che tanto amavo, quell'oggetto
incantato avrebbe potuto mostrarmi la via.
Ritornai nel grande corridoio, mi misi a guardare
fuori da una finestra ed ammirare i frenetici
preparativi.
Mentre la luce del tramonto toccava le mie fragili
pupille rendendole brevi radure d'inverno, un
pensiero mi toccò, rinacque l'estate d'un tratto,
facendomi notare che il viaggio che stavo per
intraprendere mi avrebbe mostrato ai genitori di
Roberta e che forse, grazie alla loro visione avrei
avuto la possibilità di colmarmi. Sua madre non
accusava la maledizione di Cristina, era una Howl
acquisita, della stirpe dei Khan, magari al
banchetto reale avrei avuto la possibilità di
parlare con lei.
L'incontro del re
Ormai era ora, il sole non era ancora sorto sul
castello, si notava il suo chiarore in lontananza.
A tratti si poteva sentire grazioso il cantare dei
galli cacciatori, mentre mi vestivo in veste regale,
affidando l'armatura, mio primo privilegio al mio
servo, per la sua protezione.
Mi accorsi guardando dagli scuri della finestra
ancora semichiusi, l prosperità della caccia del
pollame, carceriere di quel sole che mi si donava
per l'ambita partenza.
I miei vestiti erano tinti di rosso porpora, alla
base del mantello si poteva notare il simbolo della
mia casata, mai stato così fiero di incontrare il re
come quel giorno.
Per arrivare al castello del regnante dovevamo
inseguire il sole per quasi tutto il suo percorso.
Decisi di portare con me un libro ed un pugnale.
Nell'attraversare lunghi viaggi, soprattutto uscendo
dai nostri territori e sapendo che la voce del
nostro prezioso dono era già arrivata nelle mani dei
bardi, non si doveva mai abbassare la guardia.
Scesi in giardino. Ero l'ultimo tassello mancante
del mosaico che di li a poco, dopo aver abbeverato i
cavalli, sarebbe partito. Presi posto nella carrozza
principale, mio padre era già a bordo.
Lo salutai con rispetto e mi posizionai a suo
fronte, osservando la copertina del libro, unico
ostacolo verso lo sguardo del duca.
Creature Selvagge. Di rilegatura sottile e costosa,
quel manoscritto attirò l'attenzione di mio padre
che storse il naso ma non proferì parola a riguardo.
Ooooeee! Siamo pronti, guardie armatevi, si parte!
Il totale della crociata che doveva arrivare a
palazzo reale era formata da tre carrozze; la prima
chiamata di direzione, la seconda, la nostra, la
carrozza nobile ed in fine la carrozza merci.
Il duca, dato l'importanza del prezioso carico,
duplicò la guardia ai carri, ponendo dodici paladini
a cavallo come scorta ed i tre cocchieri più fidati,
Luigi, Amelio,Gelmino alla guida dei carri.
Ad un certo punto inaspettatamente sobbalzai, ci
stavamo muovendo.
Percorremmo una strada canonica, di commercio.
La strada era solcata parallelamente ai lati,
spegnendo la vitalità dell'erba che cercava a fatica
di uscire dalla dura terra, trovando sfogo al centro
delle ruote delle carovane.
Ai lati di questo sentiero si potevano notare,
distillati qua e la, decine di arbusti a tronco cavo
dall'aria stanca che con fatica riuscivano ad
ospitare qualche nido di piccoli volatili.
Mi concentrai, soppressi il rumore degli zoccoli e
delle ruote.
Come aveva già fatto il mio anziano compagno di
viaggio, addormentandosi.
Iniziai così a leggere.
Idra: animale ciclopico d grande fama. Si narra che
solo pochi campioni nell'arte dello scontro
selvaggio possano sconfiggerne una. Generalmente per
abbatterle l'organizzazione si svolge a più uomini,
di solito venticinque, addestrati sia nell'azione
offensiva e difensiva.
La vittoria contro un animale cosi grande e feroce è
assai improbabile anche con una formazione così
numerosa e con manovre di accerchiamento.
La magia è forse l'unico modo per dare luce e lodare
trofei come una testa d'idra.
Se ne troverete mai una sul vostro cammino badate
bene: lei sarà sicuramente più veloce di voi nel
rincorrere la vostra fuga.
"Figlio, allora hai pensato a quello che ti ho detto
riguardo alla purezza? Spero che tu abbia sancito
alle mie parole sacro rigore, come sarà sacro il
valore del consiglio che il re ci donerà."
"Certo padre ho pensato molto, spero e sono certo
che non sciuperò questa mia grande occasione. Io amo
Roberta padre e userò tutto me stesso per la
risoluzione dei miei problemi".
"Eccola, la posso intravedere, la determinazione del
cavaliere... vedo con piacere che ormai sei un uomo
e la tua vita prospera nell'orgoglio degli Zù. Non
insidiarti troppo nella lettura caro. Chi conosce
troppo eleva il sapere delle sue origini, le tue già
dorate e grandiose non dovrebbero superarsi,
potresti portare molta invidia anche tra il più
colto duca, una volta che avrai risolto i tuoi
problemi."
Ma cosa intendeva dire con questo? Dovevo smorzare
la mia regale ambizione? Ma per quale macabra causa?
Per quale motivo?
Mio padre non aveva mai parlato in questo modo,
forse qualche avvenimento l'ha intorpidito.
Forse c'è qualche motivo per cui venga colpito
dall'ansia della mia conoscenza. Di sicuro non era
per la nostra visita al re ne per il mio
svezzamento,
Forse... forse aveva colto dai miei occhi
desiderosi, quel desiderio profondo nel fare mia
quell'armatura.
L'iscrizione posizionata su di essa, era li
appositamente per catturare la mia abbagliata vista,
bisognava seguire meglio le sue parole.
non aprirete questo baule per proteggere il regno
brillare non serve ne a cacciare ne a governare
luccicare serve solo ad attirare l'attenzione
del nemico più feroce
sacrificando se stessi per se stessi
Chissà, forse quando la mia carne, la mia pelle,
raggrinzirà sotto il calore della mia vista stanca e
la mia spada trarrà vigore della saggezza del
frassino, forse riuscirò a capirla. Ma di una cosa
sono sicuro, iniziare a pensare ora serve solo a
limitare quella tarda vittoria ostacolata dai miei
problemi.
Contemporaneamente, a palazzo reale...
"Sire sire! Nel viale ormai è contesa, la fiaccolata
arde accesa, ormai è arrivato l'imbrunire e nomi di
viaggiatori che ancor non so proferire"
"Bene, se tutto è pronto apriamo queste benedette
danze. Orsù sbrigatevi, nel tempo in cui il mio
vestito mi si indossi gli ospiti devono essere nella
sala cerimoniale."
"Signor si, mio sire!."
Era impossibile da spiegare. Pensavo che la strada
sterrata fosse ancora sotto le ruote della carrozza,
ma... quale rumore sublime, quale tempo si era
dedicato per operare l'arrivo dei suoi ospiti.
Dalle piccole finestre della carrozza, alla mia
destra e alla mia sinistra, mi accorgevo della folta
erba che accarezzata dal vento veniva solcata dagli
pesanti zoccoli e dal trascinarsi delle ruote.
Aprii la porta anteriore ed uscii posizionandomi
accanto a Luigi il cocchiere, stupefatto per quello
che potevamo vedere.
Mio padre non parlò, anch'esso inebriato dalla
poesia di quell'entrata che ci avvicinava a palazzo.
"Principe stia attento i sobbalzi qui sono
frequenti!"
"Non si preoccupi Luigi, sono già caduto nella
bellezza di questo castello."
potevo udire il rumore del vento che quasi
magicamente ci spingeva verso nord, solcando la
radura vestita di una curata chioma d'erba che ci
portava verso la montagna, la montagna delle mura
che i miei occhi, ancora, non riuscivano a
contenere.
Non si potevano contare le impervie torri accese che
sovrastavano le alte mura, nere come l'inchiostro,
risplendenti a quella sfida che noi uomini stavamo
dando alla natura, racchiudendo in quel costrutto la
bellezza dell'infinito delle stelle e l'angosciante
grandezza del cielo notturno.
Il sole si stava inginocchiando alla risoluzione
della strada, fino a morire per essa, spegnendosi e
rinascendo in migliaia di nuove vite, posizionate ai
bordi della via, ormai sotto la cinta.
Era notte, la tenebra scese su di noi. La strada di
ghiaia si faceva pesante, i cavalli nuotavano in
quel mare si piccoli sassi che li facevano soffrire,
rallentando il trascorso verso la luce, la speranza,
la vita.
Che sofferenza quella strada, eravamo già affannati
per la nostra visita al re.
Mi accorsi che tutto il castello, dall'avamposto
alle distanti stalle, era di marmo nero lucido.
Magicamente, questo rifletteva tutte le luci del
castello, brillando nell'oscurità.
I piccoli sassi finirono. Eravamo ormai sul conte
levatoio già abbassato. Più di duecento carrozze
poteva contenere sulla sua schiena e le sue braccia
contavano anelli grandi quanto dieci uomini.
Il duca, portando un braccio fuori dalla carrozza mi
indicò la torre più alta, la torre reale. Molto
strana, composta di una fattura grezza fino alla sua
cupola, mentre di qualità regale sulla sua sommità,
unica parte che si notava dall'esterno.
Era tutto di dimensioni colossali, angosciandomi, ma
non era di organizzazione molto diversa dagli altri
castelli. La struttura era identica, la ricchezza
che esso conteneva invece no.
La si poteva notare dai drappi reali.
Ben sedici torri, sedici torri vestite di una fascia
viola scuro che portava l'insegna del re, la corona.
Questo luogo conteneva un intera popolazione.
Ci fecero accomodare nella piazza centrale, non
notai alcuna faccia conosciuta, seguii mio padre.
Conveniva con altri principi e duchi, da me
conosciuti solo di vaga fama nel ricordo del loro
nome.
Nell'attesa di entrare a palazzo notai molte
donzelle nobili, meravigliose.
Pensai a Roberta!, la sua lettera! Non avevo mai
completato la sua lettura.
L'avevo dimenticata ma ora potevo leggerla:
Pensa sempre due volte prima di agire e se trascorsa
una alba la tua mente sarà ancora voluttuosa di
andare avanti, prosegui il tuo cammino.
Ci vediamo presto e ricordati che...
Come che? Era finita con quel che, quel che che mi
inacidiva. Non aveva scritto di amarmi.
La mia mente si isolò nel pensiero di Roberta.
Guardavo mio padre muovere le labbra e blaterare,
blaterare parole d'intesa.
Non riuscivo a capire.
Continuai per la mia strada, al seguito del mio
duca, fino a che, finalmente ci fecero entrare.
Magari la lettera era a metà, magari una parte di
essa era stata persa dall'incompetenza del suo
messaggero.
Si si, dev'essere così... per il regno, questa
storia mi renderà pazzo. Non mi inebetirò per amore.
Io sto già amando l'inebriarsi del mio corpo al
pensiero di Roberta, io sto già rinascendo in
Roberta e nella mia fantasia, che la crea in me.
Che odiabile situazione, forse quel contadino aveva
ragione. Cosa interessa ad un nobile del mio rango
dell'amore, del sentirsi amato. In fondo a me stanno
così a cuore le parole che non riesce a pronunciare
per non ferire il mio orgoglio, perché sono un
cavaliere, alla pari di poeti e marinai.
Forse perché io nel mio sangue non sono come loro...
nel campo dell'amore sono solo un suddito che mi sta
odiando... forse...
Entrai nel salone, era colossale, ciclopico, non
riuscivo a catturarne la fine. Appesi alle pareti si
mostravano decine di trofei di caccia, teste appese
ed imbalsamate appartenenti a magnifiche creature,
alcune delle quali addirittura estinte, come
l'ippogrifo.
Al centro dell'enorme stanza si presentava un regale
banchetto, più di cento sedie attorniavano un tavolo
quasi infinito, bandito con i cibi più prelibati del
regno.
Non era un banchetto canonico, lo potevo notare dai
frutti rari ed esotici provenienti dal regno d'Alice
e dai servi che stavano ungendo le saporite carni
dei pesci pescati nel regno di Denise.
Queste pietanze andavano fuori dalla mia
immaginazione.
Ero già pieno delle parole di cortesia di mio padre.
Stavo parlando con Riccardo ottavo della
staccionata, piccolo possessore di una radura dalla
quale nascevano i migliori cavalli del regno.
Poco dopo mi fermai pensieroso.
"Anche la persona più rozza ha dei sentimenti ma
solo se una persona è finta riuscirà a dimostrarli
con coraggio."
Di scatto mi girai. Un uomo basso barbuto e tozzo,
dai capelli bianco splendenti mi posizionò una mano
sulla spalla, finendo di proferire le parole che
entravano come ago nelle mie orecchie.
"Tu devi essere Nicolò terzo di Zù"
"Si, sono io, con chi ho l'onore di parlare?"
"Ahh bel giovane, sempre a tirare in mezzo l'onore
voi nuovi cavalieri, lascia che l'onore sia altrui
per una volta. E dico questo perché ho sentito delle
tue gesta e di ciò che ti affligge, sono un tuo
parente alla lontana, Ordnassela sesto di Zù, ero io
un tempo ad insegnare a tuo padre."
"È un onore per me scoprire queste parentele proprio
qui! Mio padre parla sempre poco della famiglia,
spero che non si offenda se il suo nome non era
venuto alla mia conoscenza."
"Suvvia caro sei perdonato. Cosi giovane, ma posso
dirti solo una cosa, alla fine tutto terminerà tutto
si sciuperà con splendore, nemmeno il più bel verbo
resisterà al tempo ma le emozioni che tu riuscirai a
provare, quelle resisteranno per l'eternità. Lotta
per il tuo amore, lotta per esso...!"
Mentre Ordnassela proferì tali parole, iniziò ad
allontanarsi.
Rimasi perplesso. Ero così famoso anche tra i nobili
più grandi, cosi famoso da non conoscere nemmeno il
nome dei miei parenti.
"Ragazzo pensa prima a che cos'è l'amore, pensa al
tuo orgoglio,a che cos'è quel forte orgoglio che va
in contrasto con il tuo sentimento ma ti permette
d'amare."
ascoltai le parole dello strano uomo perdersi tra la
folla con lui, allontanandosi da me e lasciandomi
solo con me stesso. Quelle parole si ripetevano,
amore, orgoglio, ormai ero dedito all'azione, come
potevo pensare a dei consigli.
Papapa parapapapapapa! Un grande rumore di trombe
inondò da ogni direzione la sala, quasi a far
oscillare i drappi reali, portando il silenzio nella
stanza.
"Sire, sire, siamo pronti alla sua venuta, grande e
compiaciuta. Il popolo è ormai incantato dal suo
mantello tramandato se desidera iniziare le trombe
faremo suonare."
"Certo iniziamo ma... dov'è Claudia?
"La regina già l'aspetta nella piccola stanzetta, a
chiamar da lei son stato mandato per iniziar il
celibato."
Il re accolse il mantello sulle spalle, sistemò gli
abiti facendo allungare la violacea tunica fino alle
ginocchia e iniziò a camminare. I servi lo
seguivano, uno reggeva la coda del suo manto
sollevandolo, un altro lo anticipava, munito di una
grande cesta colma di fiori, gettati ai piedi della
passeggiata reale.
Altri quattro lo attorniavano armati di grandi
fiaccole, posizionandosi a quadrato, facendo
scomparire l'ombra del re.
Mio padre finalmente smise di parlare. Ebbe un
momento di tregua nell'attesa ormai ansiosa,
delimitata dal suono delle trombe.
Lentamente mi affiancai a lui e sottovoce
proferii...
"Padre non mi avevate mai parlato di Ordnassela il
nostro consanguineo."
"Ordnassela? Forse ti stai sbagliando figlio, la
nostra casata manca di un Ordnassela nobile, il suo
nome potrebbe essersi confuso tra la bolgia della
folla."
Questo mi rese ancora più dubbioso.
Papapa parapapapapapa!
La grande porta che si poneva alla fine della stanza
a nord si aprì di colpo.
Una decina di individui scesero in abito da sera,
erano magnifici. A due a due quelle fila sfumavano
nelle vesti da un blu notte fino al bianco, seguiti
dal re e sia moglie, accerchiati da altrettante
persone vestite di un misterioso viola.
Come un eclissi che compare nel cielo soffermandosi
difronte a tutte le mie certezze, iniziai ad
ammirare il re, osservandolo, non era un uomo esile,
era robusto.
Il marmo del pavimento fu colpito da una grande
quantità di petali in fiore, calpestate con
delicatezza da due magnifiche persone.
Il mio re e la mia regina.
Vincenzino ottavo sire di Cristina, Affiancato dalla
moglie Claudia seconda di Humo.
Non riuscivo a distaccare lo sguardo dal mio re.
Il suo viso era ancora molto giovane seppure
l'inoltrata età che portava. I suoi capelli erano
ancora bruni e nobili, stranamente sgargianti per il
tempo che possedevano.
Era avvinghiato dalla testa ai piedi dai più
importanti abiti cerimoniali, rossi e viola
sbiadito.
Si mescolavano alla mia vista in un emozione
d'impotenza, mi sentivo piccolo ed insicuro al veder
luccicare la sua corona cosparsa di zaffiri e
rubini, mi chiedevo quanto sangue nobile potesse
scorrere nelle vene di un solo uomo. Attendevo con
ansia le sue parole, non si fecero attendere molto,
i servi lo misero in piena luce...
"Sudditi, siamo qui riuniti oggi per celebrare il
nuovo anno e il continuare di questo regno nella
storia dei tempi, accarezzando prosperità ed onore."
un grande applauso di tutti i presenti enfatizzò le
sue parole, ma al guardare i nobili, i loro volti, i
loro occhi, notai che quell'applauso non era cosi
sincero come poteva sembrare. Occhi critici e mani
sonanti.
"Durante questo anno, lo so, ci sono stati molti
diverbi e discussioni. La nostra sana e grande
prosperità è giunta a vacillare e per questo io vi
invito a questo banchetto, decidendo quello che sarà
il miglior da farsi per riportare equilibrio nel
regno."
i nobili preso posto velocemente al tavolo,
mantenendo una postura composta in attesa di altre
parole reali.
"Miei sudditi, prima di mangiare e di consacrare il
nostro incontro, leggerò dei versi da me scritti,
nella speranza che voi pensiate alle difficoltà da
me accusate nel governare in quest'anno ormai
passato il regno."
il secondo dei servi sulla destra tirò fuori dalla
tasca dell'abito una pergamena, dotata di fattura
sottile. Fino a coprirlo, il cerimoniere si
posizionò davanti al re e iniziò a leggere.
Il bivio
tutto ciò che m'appartiene
è mio
come m'appartiene
il mondo
come il mondo m'appartiene
per dio
come dio appartiene
per me
come io raggiungo dio e ne divento
quando amo
Pensai, pensai ancora, non trovavo conclusioni nella
mia mente. Quei versi si intricavano in me e non
riuscivo a capire.
"Sudditi, ora scegliete quale strada vi è consona e
quale lo è per il regno."?
Ahh quest'opera aveva due visioni, che sorpresa
potevo scegliere, potevo raggiungere quello che
desideravo difronte al bivio.
Ero seduto esattamente al centro del tavolo bandito.
Guardavo a destra e sinistra senza sondare la sua
fine.
Finalmente si iniziò a mangiare. Dalle minestre più
ordinarie alle carni più salate, dalla frutta più
esotica ai dolci più cremosi. Dentro di me stava
iniziando a nascere un sentimento di disagio, quasi
come non meritassi il cibo che stavo mangiando. Gli
altri nobili non avevano di questi problemi.
Il re era a capo della tavola a sinistra, la regina
a destra. Era come se fossi perennemente osservato
dal loro potere. Loro non mangiavano. Fissavano la
folla abbuffarsi quasi volendo far trasparire che
loro non avevano bisogno di essere come noi, di noi
non avevano bisogno, ci erano superiori e ci stavano
nutrendo.
D'un tratto, ad interrompere il brusio del
chiacchiericcio costante che mi circondava, come il
pizzo che attorniava i decorati piatti, un uomo si
alzò in piedi e con gli occhi bassi, deboli difronte
al banchetto che aveva davanti, nominò il suo nome.
"Mio sire Vincenzino, assaggiai di buon grado il suo
vino, assaggiai la sua carne speziata, d'origine
curata, amai amo ed amerò il suo castello ma scusate
se devo presentar il mio fardello, questo quesito mi
affligge ma non si può legare col mio nome, Ivo
diciannovesimo con dedizione..."
Ma perché mai stava parlando in questo modo?
Ridicolo. Quasi il mio riso non riuscivo a
controllare nell'ascoltare quelle parole. Ma come si
poteva usare cosi tragicamente il verbo, la
burocrazia non ha bisogno d'estetica, il suo
risultato è già la bellezza del governare con
prosperità.
Fissavo Ivo diciannovesimo, non aveva risposta dal
re, la corona lo fissava. Stava aspettando inebetito
che il sire gli concedesse parola.
Cadde il silenzio.
Più di cento sguardi attanagliavano la viola veste
reale ma nemmeno un gemito, nemmeno un piccolo
vibrare, solamente un lieve movimento di mani
dall'alto al basso che concedeva la parola al
nobile.
"della montagna di Astra son imperatore
presiedo il mio confine con ardore
la mia terra duole
bagnata dal pianger dei nuvoloni
in pulsanti acquazzoni
ora le carrozze vediamo incagliare
ai piedi del colle simile a mare
muschietto e terriccio diventano nemici
per zoccoli non più felici."
Mio padre sedeva alla mia destra, non potevo non
interpellarlo, questa cosa era ridicola mi servivano
delle spiegazioni. Toccai il gomito di mio padre e
chiesi il motivo di questo parlare cosi
fanciullesco.
"Nicolò dimenticavo di dirti. Con il re ci si può
esprimere solo in rima. Questo caratterizza il
rispetto che si ha per lui, ci sono delle regole
molto rigide. Più una parola è aulica più ci si
avvicina alla nobiltà del re, più c'è coraggio
dunque più ci si porterà verso rime più ricercate.
La possibilità di parlare con il Sire è data dal
proprio titolo e dai propri possedimenti, Ivo non
possiede quasi nulla se non un arida montagna ormai
bagnata, dunque parla da povero nobile."
Il bisbiglio di mio padre aveva distratto le due
persone che mi fronteggiavano al tavolo, un anziana
ed un fanciullo
"Marco hai capito cosa ha detto Alessandro primo?
Ecco la risposta al tuo quesito."
Erano Enrica ventiduesima duchessa di Zim ed il suo
nipotino Marco ventiduesimo, di vasta fama nobile,
grandi possessori delle pianure centrali
"Enrica, è sempre un piacere elogiare con le mie
umili parole la casata verdeggiante." Disse mio
padre con sorriso.
"Mai fare il lavoro che può fare un altro ancor
meglio no?"
Una risata scoppiò tra i due duchi non curanti del
silenzio che era stato violato.
Dopo poco Vincenzino si alzò in piedi iniziando a
parlare.
"Ivo, sai che non si piange mai per niente. Saprai
anche che la passione per le cose può farti piangere
ancor di più. Imperatore è un termine inadatto,
regnare era migliore ma non lo potevi usare. Se la
tua terra ormai sta diventando palude ed in essa
affonda la mia amata montagna, devi saziare l'acqua.
Se non è acqua è fango e non sarà difficile colmarlo
fino a che non si potrà vedere il nuovo crescere dei
fiori. Compra la ghiaia e riempi il tuo problema o
questo mai diventerà più leggero".
Di colpo sia Ivo che il sire si sedettero.
"Vedi figlio mio, in ordine di importanza si sono
iniziati a dare i consigli, tu puoi far attendere
solamente le tre case che affiancano la regina, le
tre Cristine"
Come? Anch'io dovevo parlare in rima al mio re? Ma
quale rispetto, quale ammirazione dovevo esprimere
ma fortunatamente avevo diverso tempo per
riflettere.
Ormai il banchetto reggeva le tre ore abbondanti.
Tra le fila delle vivande e dei nobili stavo
cercando i genitori di Roberta, il ducato di Howl.
Non li avevo mai visti, mi era persino vietato
parlargli prima del nostro matrimonio.
Nostro matrimonio già, speriamo sia nostro e non
solo mio.
Mi rincuorava non capire quali di questi nobili
fossero. Sua madre , mi avrebbe ugualmente colpito
con la sua bellezza, come fece Roberta...
Roberta...
Le mie gambe ormai erano inibite come il bronzeo
busto di Cristina al centro del palazzo.
Dovevo sgranchirmi, andare a fare due passi per poi
risedermi e ricominciare a mangiare.
Ma chi prendo in giro, scrutavo e bramavo di
vedere... ohh madre di una dea perché non ti mostri.
Improvvisamente, poco più distante della carrellata
di maiale che si stava dirigendo verso di me, un
altro uomo si alzò in piedi.
Dovrò subirmi questa atroce tortura e dover
ascoltare tutti questi nobili e i loro problemi...
"Padre, scusate se non ascolterò qualche compagno di
sangue, ma ragion di natura chiama e devo
assecondarla"
"Vai pure figlio, ma fai in fretta."
Nicolò uscì a capo basso dal grande salone, prese la
strada di sinistra, opposta alla precedente entrata
reale. Si ritrovò di colpo in un ampio corridoio
vuoto.
Come eremita non curante, udiva il venir meno delle
voci della grande sala, mano a mano che si spingeva
nel corridoio che iniziava ad essere tappezzato di
arazzi.
D'un tratto, quasi giunto alla fine della sua via,
uno strano profumo gli si conficcò nelle narici, il
nostro cavaliere iniziò a barcollare, a tratti, sino
a cadere inginocchiato. Il più stridente grillo non
era paragonabile al tumulto che costante nasceva e
moriva nella sua testa.
Un gemito di dolore si unì al digrignare dei suoi
denti.
Ahhh la mia testa, che dolore, qualcosa mi sta
chiamando a se... qualcosa … maledetta armatura...
Nicolò si fece forza. Si alzò in piedi a gran
velocità, iniziando a seguire il forte pulsare delle
sue cervella. Ogni passo, sempre più doloroso, gli
indicava la via.
Strascicando, appoggiato alle pareti, camminando,
invadendo la nebbia del suo sguardo, uscì dalla
struttura principale del palazzo.
Si diresse in una piccola caserma poco più in la, il
luogo dove abitava la fantomatica corazza.
Deve essere mia...
Trascorse un ora al banchetto, molti nobili avevano
già dato parola, altri dovevano darla.
Alessandro primo iniziava a credere che suo figlio
potesse ritardare per il consiglio.
Massimo settimo, marchese di Blu.
Un uomo esile si alzò in piedi e chiese parola.
"Non è mai la parola in questa scena sire, primo ed
ultimo io non posso stare, nel sopportare l'atrocità
d'udire .Anticipar vorrei il mio ululato , tanto da
informar il vostro creato."
Il Re Vincenzino mutò nel volto e indignato mostrò
la sua miseria, raccogliendo la sfida e lasciando
parlare con il consueto segno della mano il marchese
di blu, Massimo settimo.
Deciso il duca ingoiò rumorosamente la saliva, si
schiarì la gola e con voce costruita iniziò a far
luce alle sue motivazioni.
"Bruciava la vampa!
L'odore del foco sanciva l'idea del calore
ma quale stupore
veder miseria d'amore
Blu il nome del terreno
come il silenzioso ciel sereno
che quella notte iniziò a parlare
ed il mio blu illuminare
Mostra a me cielo le terre affrante!
mostrami iroso i segreti del diurno!
e quel spion messagger sprezzante
d'incoronato marchio velato
Segreto è segreto quel che è innominato
segreto è segreto quel che è osservato
ma mai constatato
Bruciava la vampa!
in quella notte luminosa
bruciava la verità!
in quel giorno a tratti
illuminato di lettere e ricatti
Omeroso il suono dello scoppiettio del quesito
posto a fumo del foco proibito
che a bruciar sian sol le pergamene
o ragion di dubbio posso tenere
e la campana posso star pronto a sonare
per il rubar di informazioni d'oltremare
Orsù miei compagni
trovate il coraggio!
aprite gli occhietti un po socchiusi
alzate e denunziate
all'arrembaggio
Che i pirati ormai d'amici s'è fatti
nascondendo gli atroci misfatti
all'arrembaggio ora
contro l'imperatore
Ombroso governante
Conciata della nostra pelle
è la sua tracolla
riempita della nostra schiavitù
Mai constatata
sempre osservata
ora svelata"
"Come osa entrare in questa caserma! Lei non può
stare qui. È chiaro a tutti che la proprietà reale
non può essere invasa e tanto meno dagli ospiti del
re, ragazzo si faccia riconoscere, mi dica il suo
nome!"
Nicolò si era intrufolato all'interno della
struttura nella quale era custodita l'armatura,
guidato quasi magicamente da un misterioso suono
nella sua mente. Questo luogo era una grande
guardiola, qui erano conservati i doni reali fino a
che il sire non li avrebbe portati successivamente
al suo cospetto.
Simile ad una stalla, riempita delle carrozze dei
nobili, contava al suo interno almeno quaranta
cavalli. Alla fine di questa stanza odorante di
mangimi, si trovavano una fila di armadi altissimi,
ferrati, di almeno tre metri,
"Ahhhhh!"
Nell'appello della guardia, nel sentire quelle urla
mescolarsi al tintinnio nella sua testa, ormai
giunto a fastidio, costante fischio, il nostro
cavaliere proferì.
"Sono Ni... Nicolò terzo, fate... fatemi passare,
devo andar... devo andare al mio carro."
"Lei non può avanzare fino a che il re non
l'autorizzerà. Noi non abbiamo alcuna notizia del
suo arrivo, nemmeno la regina può entrare qui e lei,
ragazzo ha già varcato il limite di questa soglia.
Le consiglio di ritirarsi per il suo bene."
Questa guardia era più determinata di quanto Nicolò
pensasse, altri tre armigeri la raggiunsero
preoccupati per l'indesiderata presenza, osservando
il principe risoluti.
Nicolò portava una mano sul capo per il dolore,
sapeva che il suo tesoro era in questa stanza ma non
poteva farlo suo. Gli armigeri continuavano ad
osservarlo.
Dietro di lui l'atrocità della notte lo poneva come
avanguardia. Il suo abito da sera mostrava la sua
lucida e misteriosa nobiltà mescolarsi alle tenebre,
fino a che le guardie fecero sue passi veloci verso
di lui.
D'un tratto, proprio nel fondo del suo sguardo,
proprio dai banconi ed armadio che formavano un vero
e proprio muro a fondo stanza, vide dalle fessure di
uno di questi un luccichio.
Qualcosa di irreale, magico, mitico. Il fischio
nella sua mente aveva smesso d'esistere...
"T'ho trovata!"
una guardia adiacente al bagliore che proveniva
dalle fessure della grande anta e dal faro
d'apertura, se ne accorse, si mosse veloce nel
tentare d'aprire l'armadio.
"Questo è il mio ultimo avviso! Esca da qui
immediatamente o sarà arrestato per alto tradimento!
Questo è un oltraggio innanzi a tutto il regno, lei
sta sfidando la più grande autorità del suo mondo
solamente con la sua presenza in questo luogo e la
punizione per il suo affronto sarà terribile se i
suoi passi non si ritorceranno supini verso il
passato e chiederà scusa per aver imboccato il
cammino errato.
Lei, marchese di Blu, oltraggioso è stato lo
sviluppo del suo recitare, nella mancanza di forma
del suo verbo. Lei, che si è spinto all'accusa verso
di me, il suo re, lei, che si idolatra a martire per
bloccare il mio scadente regnare, mi dica ora...
conferma la sua parola o cavaliere è solo
nell'interpretazione e nell'indicare? Sono sicuro
che il coraggio le mancherà nell'affrontare la mia
risposta mai stata cosi seriosa.
Orsù mi dica, io sono un suo superiore, il mio volto
governa nell'immortale bronzo tutte le mie città.
Io posso unico e solo continuare il regno e non mi
difenderò di accusa alcuna. La mia corona esprime
già più di tutto il continente. Risponda al mio
quesito.
Lei, traditore ed infedele, crede che la realtà
dell'ovvio, di quelli che tutti vedono, sia velata
per omertà o per coraggio? Forse lei non è l'unico
nobile coraggioso, forse è l'unico che impaurito
nasconde la verità e dichiarare l'ovvio non porterà
mai cambiamento nell'animo. Dire che io sono un re
non porterà alla fine del mio dominio. Il vero
coraggio non è la verità, non è imbastire le menti,
il vero coraggio è partecipazione.
Ora che il mio consiglio è stato dato, portate via
questo giullare, le risate non fanno più parte di
questa serata.
"Lasciatemi come osate!"
Due robuste guardie afferrarono il marchese di Blu e
strattonandolo per le braccia lo portarono fuori.
"Finirà anche il suo dominio Vincenzino, finirà
presto, loro capiranno che lei è in combutta con i
pirati di Denise per vile denaro e che sta
insabbiando tutto con i suoi finti messaggeri!"
Massimo settimo marchese di Blu venne trascinato
fuori dalla sala da pranzo.
Un silenzio spaventoso si insidiò tra i tavoli.
Alessandro primo duca di Zù era inibito, i volti
degli altri nobili erano sconvolti, tutti sapevano
ma non c'era abbastanza audacia I fatti non potevano
svelarsi dove vibravano le forti parole.
Nessun nobile diede prova di coraggio, coraggio...
"Lasciatemi! Non capite, state sbagliando! Io sono
Nicolò terzo di Zù. Devo prendere l'armatura.
Più mi dimenavo con forza dalla presa delle guardie
più loro stringevano.
La luce del fondo sala iniziò ad arrivare fino a me,
a piccoli passi. Stavo smettendo d'accusare dolore.
Di colpo m'accorsi d'un modo per sfuggire ai miei
carcerieri. La luce mi investiva totalmente. Il capo
delle guardie ed i suoi sgherri rimasero abbagliati,
accecati, sentivo il coraggio pulsare nelle mie
vene, percepivo una grande forza.
L'intensità della luce era ormai fortissima,
soffrivo nel cercare di guardarla ma non ci
riuscivo.
Iniziò a scottarmi il viso, le mie mani erano calde,
potevo sentire lo scuotere delle mie vesti allo
sciuparsi, allo scolorirsi, all'alleggerirmi sotto
il peso di quel caldo bagliore.
La dura presa delle guardie in poco tempo divenne un
lieve gioco. Le mani che catturavano il mio colletto
di pizzo ricamato di facevano deboli, andavano a
strattonare la mia veste, le mie gambe.
Non avevo più alcun vincolo ma ero cieco. Sentii due
tonfi, due uomini in armatura che stramazzavano al
suolo. Era il mio momento, dovevo essere forte.
Quell'armatura m'ha portato fin a qui e io devo
portarle rispetto, portarle coraggio.
Non avevo più paura, aprii gli occhi ed iniziai ad
urlare...
"Robertaaaa."
Le lacrime iniziarono a cospargermi il viso per il
dolore di quella luce. Era tutto bianco, ero padrone
del mio coraggio, ero coraggioso, non ero più
turbato.
"Robertaaaaa"
La luce smise di colpo, al suo posto una tenue scia
mi segnava la via. Magicamente ricominciai a vedere.
I miei occhi seguivano la coda di quella stella che
come foglia s'arrendeva, cadendo al suolo,
aspettando la rinascita.
Corsi verso l'armadio. Sfoderai il mio pugnale dalla
cintura e con forza scardinai l'anta dell'armadio,
spezzando la lama e ferendomi ad una mano. Con due
colpi ben assestati aprii completamente la porta.
La potevo vedere, era bellissima, meravigliosa,
era... era mia...
" É vero, forse sono stati presi dei patti con i
pirati di Denise ma dov'è che si insinua il male nel
salvaguardare il proprio regno? Questo volevo
chiedervi miei umili servitori, dov'è quel dolore
che con tanta foga è stato denunciato stasera?
Pensate agli attacchi di quei pirati che tanto
provavano la nostra economia, oggi si sono quasi
dimezzati. Non c'è nulla di segreto in questo,
nessun messaggero è stato corrotto, è la notizia che
è sfuggita di mano a quei messaggeri. Io ho un
impero da mandare avanti, un regno da gestire, un
popolo ed una moglie d'amare e scusatemi tanto se
queste questioni di denuncia poco m'interessano. A
nome del regno smettiamola con l'ingiuria e troviamo
coraggio nella coesione delle nostra gesta!"
il banchetto ricominciò normalmente. Altri due
nobili, il principe Arturo della casata di Mox e
Jimmy ventiseiesimo di Cartacea chiesero il loro
consiglio.
Alessandro primo si stava chiedendo dove fosse suo
figlio ma la sua preoccupazione non trasudava dal
suo volto.
La luce all'interno della caserma s'era affievolita
svelando cinque corpi svenuti al suo interno.
Il nostro cavaliere, ferito ad una mano, rientrò
veloce nella sala da pranzo. La sua traversata dalla
grande porta al suo posto, correva sotto gli occhi
severi del padre.
"Dove diavolo eri finito. Tocca a te! Non deludermi
figliolo, sei già sulla buona strada."
Il duca di Zù aveva notato la mano sanguinante di
Nicolò, bendata in malo modo con un pezzo d'abito
proveniente dalla sua veste stranamente scolorita ma
non c'era tempo per domandare.
Nicolò dall'aria agitata s'alzò in piedi e iniziò a
parlare.
Enrica ventiduesima duchessa di Zim accompagnò le
parole dei Alessandro assecondandole con un sorriso.
"Coraggio... il coraggio non mi mancherà sire, nel
elogiare la triste verità e speranzoso troverò il
confine del mio gridare senza più fine. Perché di
fango anch'io mi son macchiato, non avendo mai
svelato, quel che ho capito in quel giorno
inferocito."
La maggior parte dei nobili iniziò a blaterare
sottovoce. Alessandro primo, impaurito ed adirato,
sgranò gli occhi guardando suo figlio. Il re
Vincenzino sorrideva, al pensiero della ribellione
del ragazzo.
"Mai più mio sire paura accuserò, mai più il mio
coraggio resterà nascosto nell'avido turbamento del
mio cuore. Forse il regno ancora non è pronto, forse
di me non ha alcun bisogno ma io con coraggio urlerò
e lei mio sire se vorrà scusare gli ignoranti versi
potrà ascoltare, perché la rima non potrà che
divorare quel ch'io devo gridare."
Quasi ridendo Vincenzino gli diede parola,
intimandolo di dar peso alle sue affermazioni. Il
resto dei nobili rimase ad osservarlo sconcertato,
immaginandosi il suo breve destino.
"L'amore del mio regno arde in me come il calore
della vampa, amerò. Trarrò dal mio regno l'amore per
amare. Io qui supino ammetto di non aver niente. Io
qui vostro servo ammetto di non valer null'altro che
come cavaliere, per questo non userò sfoggio della
mia poesia ma piuttosto ascolterò i consigli di mio
padre. Scusate se la rima non vi potrò dare mio sire
ma nel rispetto vostro e del grande regno una
domanda vi devo fare. Questa non arriva da lontani
confini, questa non arriva nemmeno dal suo magnifico
castello, in ginocchio risposta vi chiedo...
Quello che attanaglia il mio cuore e mi rode dentro
mi sta persino facendo perdere fiducia in quello che
amo, la mia vita, la mia terra , la mia casata, il
mio re. Forse per colpa dell'incompetenza d'un
messaggero ora son turbato e per quella grande vampa
che ora arde nel mio cuore voglio chiederle un
favore, che la maledizione di Cristina venga
annullata, per far fronte all'unione della mia
casata con quella degli Howl che fino a Roberta
Andrea prima fu incantata.
Mi mostrerò a lei come schiavo ma per una sola volta
lasciate libero il mio cuore, anch'esso vostro
servo. Permettetemi di sentirmi amato da Roberta
Andrea prima di Howl come io l'amo e l'adoro, come
l'aratro della mia vita solca e semina grazie a lei.
Io l'amo mio sire, perdonate la mia ribellione se
ora vorrò esser servitore del mio cuore."
Alessandro primo esalò un respiro di sollievo. Ormai
tutti i nobili si stavano aspettando il peggio per
il nostro principe. Nicolò si vide circondato da
centinaia di sguardi, rimase quasi impaurito
difronte all'attenzione che non s'aspettava d'avere.
Il Re sorrise, fece tre piccoli applausi con le
mani.
"Verità... Perdonerò il tuo verbo giovane principe,
lascerò correre le tue parole in questa stanza,
anche s'esse non erano sublimi e delicate. In quello
che tu hai proferito non ho colto finzione, non ho
trovato nemmeno coraggio, ho trovato solo verità.
Ascoltate tutti questo giovane cavaliere che con
l'ammissione della verità si è reso partecipe della
più grande ribellione, della più magnifica e
sensazionale verità, il dolore del suo amore. Certo,
vedrai vacillare l'autorità che t'ha creato
d'innanzi allo scuotere del tuo cuore che ancor
giovane non s'è rafforzato con sofferenza ma bada
bene, le tue parole hanno avuto un grande potere, le
tue parole ci hanno reso uniti.
Tutti i nobili di questo regno devono capire che la
verità non si troverà scavando nelle fondamenta
dell'impero, non bisognerà cercarla nell'assoluta
tranquillità del cielo o nel marmo dei nostri
palazzi, la più grande verità è quello che si fa
vivo all'esterno, è la sofferenza di noi uomini nel
non poter placare il nostro disagio. Non hai usato i
mezzi canonici per risolvere il tuo problema, non
hai reso popolare la tua intenzione ma questo non ha
importanza. L'unica cosa che conta è che la tua
consapevolezza della ribellione è nobile,
inginocchiandoti nel denunciarla, rendendoci parte
del tuo dolore, non dimenticando a chi appartieni e
chi può risolvere il tuo problema. Quella sofferenza
d'amore che non potrà mai essere più vera di questo
banchetto. Dunque io ora perdono l'affronto della
tua casata, il tuo problema necessita della magia
per contrastare la volontà dell'ormai distante
Cristina che ora, ha fatto il suo tempo. La fiamma
che arde in te, come son sicuro che bruci in molti
altri qui, non è una vampa, non è un sentimento di
rancore, nel non poter essere quello che si vorrebbe
e non vedere le cose dalla propria visione. La
fiamma che arde in te e che mostra il calore del tuo
coraggio brucia di una vera sofferenza, accusata
dalla giustizia del tuo cuore e non del tuo spirito.
Sei un buon esempio per il regno. Lo stregone di
corte sarà poi, al tuo servizio."
Stupiti i nobili terminarono il banchetto,
ascoltando il lungo dibattito del re con le tre
Cristine.
Alessandro primo fu orgoglioso di suo figlio, per la
prima volta veramente uomo e cavaliere.
Nicolò aspetto con ansia, nel silenzio della
tempesta del suo cuore l'incontro con lo stregone.
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