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Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
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The body's election: Elezione
corporale
Si sentì strano. Alla finestra
osservò il paesaggio. Tra quasi un mese sarebbe
stato Natale. L'età verso la sessantina e una
mattiniera abulia lo rattristavano senza preciso
perchè. Disse: "Cominciamo bene la giornata."
Nell'antistante parco della periferia est di Napoli,
ventate polverose con carte svolazzanti e cielo
denso di vaporosa nuvolaglia. Si sarebbe fatto la
barba come al solito, la doccia che rinsalda i
nervi; avrebbe preparato il caffé con aggiunta di
latte scremato e sarebbe uscito nella suburra per
comprare frutta, il giornale e altro al discount di
quartiere. Il corpo rovinava verso la vecchiaia.
Però qualcosa si poteva fare per arginare sfacelo e
decadenza fisica concretizzati nelle avvisaglie
dell'artrosi, obesità e stanchezza generale. La
psiche troppo spesso andava in depressione e che
dire della ipertensione, diagnosticata appena sette
giorni prima dal medico curante? E gli acciacchi
subdoli, quelli senz'avvisaglia immediata? Per
esempio, adesso aveva l'istmo delle fauci asciutto e
la lingua amara. Si doveva reagire per arrivare agli
ottanta e oltre. Ottantenni pimpanti avevano
l'amante giovane grazie al viagra. Con la fiacchezza
che si sentiva addosso, agli ottanta non ci arrivava
e neanche ai settanta. Dopo doccia e caffé
allungato, si decise. Più democrazia. Ecco cosa ci
vuole. La democrazia panacea a tutti i mali. Così
dicevano in piazza in periodo elettorale. E lo
stesso è per il corpo fatto di varie parti che
democraticamente devono collaborare tra loro: lo
stomaco con l'intestino, la bocca col naso, le mani
coi piedi, il fegato con la milza….Niente colpi di
testa, ma ascoltare il parlamento corporale. Uscì di
casa convinto: domani al massimo ci saranno le nuove
elezioni per il rinnovamento del parlamento interno.
La democrazia è la linfa vitale del popolo e dunque
anche del mio corpo, parte ristretta della nazione.
Comprando il quotidiano aveva detto al giornalaio:
"Non bisogna dimenticarsi che il corpo invecchia."
Il consiglio ad hoc del giornalaio:
"Don Gennaro, proprio ieri si è aperta una palestra
nello scantinato affianco. Perché non ci andate così
dimagrite?"
"Ci vuole altro."
"Don Ciro, lo sapete, quello incarcerato per camorra
- il giornalaio aveva abbassato la voce nel dire
camorra - adesso è in licenza premio ed ha aperto
una palestra. E' qui affianco a pochi passi. Perchè
non ci andate adesso a darci uno sguardo? Un po' di
attività ginnica giornaliera è quello che fa per
voi. Ginnastica e dieta."
"Ci vuole ben altro. Un po' di ginnastica la faccio
quando vado in giro per il mercato e spesso mi metto
a dieta."
"Sentite a me. Andate da don Ciro, lui risolve i
casi disperati."
"Ci vuole altro. Buongiorno."
Uscendo aveva detto come vate:
"Ascoltare le voci corporali, le intime pulsioni, le
tensioni interiori…. Ecco che ci vuole."
Uno entrando in quel momento ed accennando ad un
saluto, quasi gli aveva dato ragione. Strada facendo
aveva letto sul giornale la notizia che lo intrigò:
Abbraccia un albero e lo stress svanisce. Abbraccia
un albero ed il copro ringiovanisce.
Scorrendo l'articolo erano uscite fuori altre cose:
che la psicoterapeuta Alberta Avvero direttrice di
un noto Centro-Disturbi-Depressivi (CDD), recatasi a
Sydney per un congresso, aveva letto dei cartelli
all'interno del Royal Botanic Garden. Su uno dei
cartelli la frase liberatrice: To hug a tree. Cioè,
abbracciare un albero. Altro che abbracciare una
bella donna; meglio un albero. Il giornale riportava
altro: scrittori ed attori di successo da anni
abbracciano alberi come terapia anti stress. Capito?
Le piante trasmettono forza magnetica, vera forza
rigeneratrice. Abbracciate gli alberi ed amateli
anima e corpo. Un esperto aveva affermato nella
stessa pagina di cronaca:
L'ulivo mi consola, la betulla è maliziosa.
Senza andare a casa aveva estratto le chiavi della
macchina, diretto ad abbracciare un qualsivoglia
albero. Però quelli fuligginosi vicino casa gli
fecero schifo. Poi, lo avrebbero preso per pazzo nel
vederlo per strada abbracciato ad un albero. Si
sedette in macchina, aggiustò lo specchietto
retrovisore e aprì il cancello con elettronica
chiave. Si avviò verso gli anfratti del Vesuvio
pieni di stradine secondarie e spazzatura.. Nessuno
lo avrebbe visto mentre abbracciava un pino
resinoso, abbandonandosi con tenerezza sull'aspra
scorza come l'amante che ascolta il cuore
dell'amata. Avrebbe assorbito l'energia vitale del
pino, rinverdendo contro le intemperie della vita.
In alto sul Vesuvio, l'aria fu più fredda del
solito, ma non aveva piovuto e c'era poco vento. Si
vedeva il Golfo con Napoli sotto, la penisola
sorrentina e Capri a sinistra; a destra il Vomero
con dietro Ischia. Aveva adocchiato il pino che
faceva al caso. Sostato in uno slargo era corso ad
appiccicarsi al tronco. Tese le braccia ed avvolse
la scorza fredda. Ci rimase appiccicato per un po'
col risultato di un rigurgito di gas e sonora
eruttazione. Le aspettative deluse. Sconsolato,
urinò contro le radici del pino traditore: lunga
pisciata liberatoria. Mentre chiudeva le brache
sospirando, gli cadde in testa una grossa pigna che
lo fece gridare. Toccatosi sul cranio, vide che
c'era sangue. Col fazzoletto pressato sulla ferita
se ne tornò in macchina imprecando. Con la marcia in
folle per la discesa, disse tra sé e sé: ho fatto
sempre di testa mia, ora si cambia. Non ho badato
alle esigenze che venivano dal corpo ed ecco i
risultati: appesantimento generale, depressione,
pancia, affanno, gas intestinale da evacuare, doppio
mento sulla gorgia, canizie precoce. Uno schifo. E
poi gli attacchi subdoli: colesterolo, trigliceridi,
azotemia…
Parcheggiato nel giardino davanti casa, sotto
l'architrave della porta aveva detto con autorità:
"Domani alle quattro inizia la campagna elettorale.
Tutti gli organi ed apparati ne prendano atto."
Un volvolo intestinale dovuto al passaggio di aria
tra intestino cieco e grosso colon fece eco
acconsentendo. A notte, mente e psiche di don
Gennaro riposarono, ma gli organi interni ed
apparati parlottavano con euforia. Dissero i
polmoni:
"Democrazia, democrazia. Non più soggetti
all'apparato digerente che ci manda solo sangue nero
da depurare."
Dissero di rimando quelli del tubo digerente:
"Staremo a vedere. Comunque la maggioranza è nostra.
Vogliamo vedere che succede se chiudiamo i rubinetti
dell'energia di provenienza alimentare."
S'intromise il cuore che aveva anche lui qualcosa da
dire contro i polmoni:
"Con l'aria che respirano, piena di CO2 e povera di
ossigeno, protestano pure."
Rispose il polmone destro, spalleggiato dal
sinistro:
"E che è? È colpa nostra se don Gennaro vive nel
Bronx?"
"Calma - disse il timo che spiegò - aspettiamo le
disposizioni di don Gennaro. Le elezioni si tengono
col rispetto delle regole. Vediamo don Gennaro cosa
deciderà in proposito: se vuole un governo
monocamerale a maggioranza assoluta, oppure il
bicamerale con maggioranza relativa e sbarramento o
meno del 3%."
Disse il rene sinistro:
"A me andrebbe bene la maggioranza relativa senza
sbarramenti, questo per dare spazio alle minoranze."
Uno dei testicoli udite le superiori rimostranze
essendo in declivio all'interno dello scroto, disse:
"Non facciamo supposizioni. Aspettiamo domani quando
don Gennaro emanerà le disposizioni generali. Solo
allora potremo formare i nostri partiti e decidere
gli accorpamenti."
Gli altri organi tacquero rimuginando nei precordi e
preparandosi alla lotta. Il fegato già presagiva la
rivalsa: se non funziono io tutto va in tilt. Come
minimo devo avere la carica di ministro nel nuovo
parlamento. I testicoli di rimando: se non fanno
quello che diciamo noi, non si fotte più.
Cervello, cervelletto, bulbo e restante contingente
del sistema nervoso centrale temevano la secessione:
il sistema nervoso vegetativo avrebbe reclamato più
autonomia con federalismo carnale e sganciamento
totale dalla volontà. Il Sistema Immunitario voleva
leggi più severe: cacciamo senza mezzi termini tutti
i microbi rom che s'intromettono nel corpo da
clandestini. C'era fermento e grande eccitazione con
sconquasso generale. Il povero don Gennaro si era
svegliato tutto gonfio: occhi, faccia, pancia come
palloni. Allo specchio non si riconobbe più: e che
è?
Aveva brufoli in fronte e sulle braccia. Si lavò e
corse all'ASL. Adesso muoio, si ripeteva. L'addetto
che dava i numeri per le prenotazioni dal dottore lo
aveva squadrato:
"Don Gennaro, ma che avete fatto?"
"Niente. Avevo solo pensato di ringiovanire con
qualche cura."
"Siete gonfio. Qualche allergia."
"Non lo so. Per questo sto qui."
"Solo questo dottore dà la cura esatta."
"Forse ho mangiato troppo ieri."
"Fidatevi del dottore. Solo lui conosce il vostro
corpo."
Al medico aveva mostrato le piaghe sviluppatesi
nella notte. Il dottore aveva detto:
"Non è allergia. Non di questi tempi. So cosa è.
Avete deciso di dare più libertà ed autonomia agli
organi interni ed essi sono in fermento. Ognuno
vuole prevalere sull'altro. Ognuno pensa di essere
il più importante. Dovete riprendere il controllo
della situazione e mettere a tacere l'anarchia."
"Dottore, ma qualche medicina da prendere alla sera
ed al mattino…"
"Niente medicine. Dovete parlare con voi stesso. In
interiiore homine habitat veritas."
La frase latina aveva messo paura a don Gennaro che
disse:
"Dottore, ma è grave?"
"Si sta sviluppando nel vostro corpo una malattia
psicosomatica. C'è ribellione perfino tra la vostra
mente ed il sistema nervoso autonomo. Mi spiego. Se
uno si scoccia, ma deve stare seduto in una sala con
altri ad ascoltare per ore un relatore, allora si
sviluppa in lui la ribellione. La mente comanda ai
visceri di soprassedere. Però se a lungo andare
l'individuo inibisce le pulsioni interne
sopraggiungono le malattie psico-somatiche che
comportano la guerra tra la volontà e le interiori
esigenze. Un altro esempio. Se uno non scopa,
reprimendo le pulsioni sessuali, gli organi interni
si ribellano e sopraggiunge la malattia
psicosomatica con eruzioni cutanee, bruciori di
stomaco, gonfiori delle viscere, sudorazioni, bocca
secca, tic, balbuzie, lapsus freudiani…uno schifo."
"Un guaio. E c'è una cura?"
"Ve l'ho detto. Parlate chiaramente con voi stesso.
Parlate con le interiora. Dialogate. In interiore
homine habitat veritas."
Quella frase latina lo rifece rabbrividire. Disse:
"Dottore, allora niente ricetta?"
"La ricetta ve la dovete fare voi ascoltando il
corpo."
Don Gennaro se ne tornò a casa. Non pensò alla
monnezza da scansare, alle turbolenze del quartiere
contro i Rom. Lo affliggeva questa improvvisa guerra
intestina.
Dopo doccia, nudo come una scimmia davanti allo
specchio, fece il discorso diretto ai suoi organi,
apparati, tessuti e cellule in anarchico subbuglio:
"Sentite…."
A questa parola l'interno di quel corpo pieno di
pustole, tremori e flattulenze sembrò placarsi come
la platea che ascolti l'oratore:
"Sentitemi tutti, organi, apparati, cellule e
tessuti. Ascoltate. Non più assolutismo. Da oggi,
farò quello che volete. I desideri, quelli dettati
dalla mente cosciente non esisteranno più. Se il
cazzo - faccio un esempio - è tosto e vuole fotttere,
farò in modo da esaudirlo subito e nel migliore dei
modi. Va bene? Se mi viene fame, mangerò. Se sto per
strada e mi viene fame, entrerò in un fast food, in
un ristorante, o in una salumeria per munirmi di
cibaria. Idem se devo pisciare: vado subito in un
cesso pubblico, o a casa. Idem per defecare. Se voi
polmoni volete respirare aria pura andrò in montagna
per qualche giorno. Però…."
Don Gennaro puntò il medio in alto come un santo.
Vatalejò:
"Organi e interiora, però dovete rispettare i patti.
Prima dovete cessare di farvi guerra. In ogni
istante, dovete decidere a quale pulsione dare la
precedenza: mangiare, scopare, passeggiare,
defecare, urinare, assaggiare aromi, annusare
profumi…Mi manderete un messaggio alla volta ed io
esaudirò le vostre esigenze nel migliore dei modi e
nel più breve tempo possibile. Se non ci state e
continuate a litigare, in alternativa mi vado a
curare da uno specialista e farò tutto di testa mia.
Per dispetto, se devo scopare andrò a mangiare. Se
devo urinare andrò prima a farmi una bella
passeggiata."
Un gorgoglio generale sorto dall'intimo dei precordi
gli salì in gola emettendo una grande eruttazione
che lo fece sobbalzare. Vide eruzioni cutanee,
pustole e arrossamenti dermici scomparsi per
incanto: il segno che il corpo si era rappacificato
e acconsentendo alla proposta di don Gennaro che
disse a interiora e pudende: "Mi avete dato ragione.
Siete sagge."
Da allora Don Gennara era diventato sbarazzino come
un bebé. Lo aveva notato Alfonsina Guadagno, la sua
compagna. Una volta, mentre facevano shopping per
Corso Umberto I, di sana pianta don Gennaro le aveva
detto:
"Andiamo a scopare."
Ad Alfonsina Guadagno era parso di non capire:
"Che?"
"Dobbiamo scopare adesso."
"Ma veramente fai? Adesso è ora di pranzo.
Troviamoci un ristorante, piuttosto."
"Scopiamo prima."
"Ma che è sta' frenesia!"
"Devi fare come dico io. Scopiamo."
"E dove?"
"Andiamo in albergo. Quello di fronte. Pago io."
Alfonsina Guadagno l'aveva presa con allegria ed
aveva detto:
"Però dopo mangiamo."
Alfonsina Guadagno diceva che don Gennaro era
diventato come un bambino di cinque anni. Non sapeva
resistere ai desideri immediati. Se doveva andare in
bagno mentre erano in macchina, sostava alla meglio
ed andava a trovarsi il più vicino cesso oppure, se
in aperta campagna, faceva i bisogni dietro un
cespuglio. Alfonsina Guadagno con pazienza accettò i
cambiamenti di don Gennaro, rinnovato nel fisico. A
pianificare il futuro ci avrebbe pensato lei per
lui.
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